Il giorno 27 novembre 2025 abbiamo accolto presso l’Archivio e la Biblioteca Generali i partecipanti al “Titus Brandsma Congress”, organizzato dai padri Fernando Millán Romeral, Giovanni Grosso, Michael Plattig e dalla postulatrice dell’Ordine carmelitano, dottoressa Giovanna Brizi. L’evento era incentrato su aspetti della vita, dell’attività e del pensiero del santo olandese Tito Brandsma (1881-1942), morto martire nel campo di concentramento di Dachau, dopo essere stato arrestato dalla Gestapo a causa della sua ferma opposizione al regime nazista.
P. Giovanni Grosso e l’archivista Simona Serci hanno guidato gli studiosi provenienti da tutto il mondo alla scoperta dei tesori del nostro patrimonio librario e documentario, tra cui alcune testimonianze del soggiorno romano del giovane Tito presso il Collegio Internazionale Sant’Alberto, oggi sede delle nostre istituzioni culturali. Per l’occasione la postulatrice ha mostrato agli studiosi la bolla di canonizzazione di san Tito, firmata da papa Francesco il 15 maggio 2022, e il registro firmato da centinaia di deportati nel campo di concentramento, che sostenevano l’apertura del processo di beatificazione del frate carmelitano olandese.
Nel nostro archivio conserviamo il carteggio tra p. Luigi Laghi, che fu priore generale dei carmelitani negli anni 1742-1756, e il sottopriore della Traspontina di Roma, p. Avertano Bevilacqua. Da questa corrispondenza si ricavano preziose e divertenti informazioni su ricette culinarie e medicamentose in voga nel XVIII secolo, di cui Laghi era particolarmente appassionato.
In una delle lettere, datata 12 febbraio 1758, Laghi scrive dal convento di Forlì, nella provincia di Romagna-Marche, e chiede a Bevilacqua di inviargli un cesto contenente ottanta o cento libbre (ossia 35-45 kg) di maccheroni, di quelli che si mangiano solitamente al convento della Traspontina, ma che siano «veramente di Napoli, e non di Roma!» [AGOC, II Roma (Tr.) 118.1.1., fasc. Bevilacqua, Corrispondenza ricevuta 1958].
All’epoca il termine “maccheroni” era utilizzato per definire genericamente la pasta secca di grano duro, senza riferimento a uno specifico formato (spaghetti, vermicelli, pasta corta, pasta cava etc…). Questo prodotto, diventato tipico della cucina mediterranea, ebbe grande successo nella Napoli dei Borbone e dalla capitale partenopea era esportato in tutta l’Italia preunitaria. Gli stessi napoletani erano chiamati “mangiamaccheroni”, appellativo poi esteso come stereotipo agli italiani immigrati all’estero. Nel Settecento le vie di Napoli pullulavano di trattorie e venditori ambulanti di pasta al pomodoro, che era consumata anche per strada, come cibo da asporto, e i produttori locali si riunivano in un’apposita corporazione di “vermicellari”, per tutelare i propri interessi economici.
La richiesta di padre Laghi riflette certamente la ghiottoneria dell’ex generale, già famoso per la sua passione per la cioccolata, ma testimonia anche il primato di Napoli nella produzione della pasta secca, soprattutto in termini di qualità.
L’Archivio e la Biblioteca Generali dell’Ordine Carmelitano hanno aderito, in qualità di istituti ecclesiastici italiani, al progetto Manus Online (MOL), coordinato dall’ICCU e finalizzato alla tutela, catalogazione e studio dei manoscritti prodotti dal Medioevo all’età contemporanea.
L’obiettivo è quello di inserire, all’interno del database, le descrizioni codicologiche di circa 200 manoscritti librari appartenenti alle Sezioni Personae e Varia dell’Archivio Generale dell’Ordine Carmelitano (AGOC). Si tratta di due collezioni che custodiscono esemplari databili tra il XIV e il XIX secolo, contenenti testi di argomento teologico, filosofico e spirituale, ma anche destinati alla predicazione, redatti o copiati da autori carmelitani (Personae) oppure da scrittori non direttamente collegati alla realtà religiosa del Carmelo (Varia). Tali volumi, attraverso varie vicende storiche, confluirono nella biblioteca che faceva da supporto allo Studium generale della Traspontina di Roma.
L’attività di catalogazione si inserisce all’interno del più ampio programma di valorizzazione del patrimonio documentario e librario dell’Archivio e della Biblioteca Generali, finalizzato in primo luogo a diffondere la conoscenza dell’Ordine carmelitano, nonché a preservarne l’integrità storico-culturale.
L’adesione a MOL contribuirà, pertanto, a rendere accessibile a un pubblico più vasto una parte rilevante del patrimonio più antico della nostra comunità religiosa.
La canonizzazione di san Carlo Borromeo raccontata da un’edizione seicentesca
La Biblioteca Generale Carmelitana conserva un piccolo volume a stampa del 1610, contenente una relazione sommaria della vita e dei miracoli di san Carlo Borromeo e della sua canonizzazione, avvenuta a Roma il 1° novembre di quello stesso anno, durante il pontificato di Paolo V Borghese.
Si tratta, quindi, di una delle primissime edizioni che raccontano, con minuzia dei particolari, non solo il processo di canonizzazione di san Carlo, ma anche i dettagli riguardanti i ricchi e maestosi ornamenti della cerimonia.
Sul frontespizio è presente un’immagine calcografica raffigurante san Carlo secondo l’iconografia tradizionale, in meditazione davanti al crocefisso, in abiti cardinalizi e con i consueti tratti del volto che lo rendono immediatamente riconoscibile, come il caratteristico naso pronunciato.
Talvolta in convento accadevano eventi divertenti ma incresciosi, che ci sono stati tramandati dai documenti conservati nel nostro archivio.
Era il mese di marzo dell’anno 1637 e il priore generale dei carmelitani Teodoro Straccio scriveva al priore del convento di Massalombarda, località non lontana da Ravenna, per risolvere una questione imbarazzante. Erano giunte fino a Roma le vivaci lamentele del signor Giacomo Bertachi, circa il comportamento irriverente di un certo fra’ Pietro Maria, questuante appartenente al suddetto convento carmelitano. Infatti nella prima domenica di Quaresima (il 1° marzo 1637) fra’ Pietro, giocando insieme ad alcuni suoi compagni dopo una bella nevicata, aveva tirato una palla di neve in testa al signor Bertachi, che passava di là, non si sa se per scherzo o per collera.
Poiché il Bertachi chiedeva insistentemente di redarguire e punire fra’ Pietro per la sua condotta inopportuna, il generale Straccio si vide costretto a disporre che il frate fosse messo in una cella di isolamento per alcuni giorni, così da placare l’indignazione del laico [AGOC, II C.O. 1(24), fasc. 4, p. 163].
L’esuberante fra’ Pietro cominciò così la sua Quaresima, con una burla costata cara…
Michele è un archivista free-lance che collabora col nostro Archivio ormai da diversi anni. Ha recentemente ultimato il progetto di riordinamento e inventariazione della Sezione Confraternite: perciò abbiamo pensato di intervistarlo e far conoscere il suo lavoro.
Michele, puoi descriverci brevemente in cosa consiste la Sezione Confraternite?
La sezione Confraternite si compone di 17 buste e 19 registri e volumi. La documentazione copre un arco cronologico che va dal XVI al XX secolo e conserva prevalentemente gli atti relativi all’erezione delle confraternite carmelitane di tutto il mondo.
Lo scopo delle confraternite è di favorire la devozione allo Scapolare ed eventualmente solennizzare, a livello locale, la festa della Madonna del Carmine.
Secondo la tradizione, il rito di imposizione dello scapolare si diffuse in seguito all’apparizione della Vergine a san Simone Stock, priore generale dell’Ordine, che sarebbe avvenuta il 16 luglio 1251. In tale occasione, fu rivelato che chi avesse indossato l’abitino con devozione, sarebbe andato in Paradiso il sabato successivo alla sua morte (il cosiddetto “privilegio sabatino”).
Il bisogno di raccogliere la documentazione relativa alle confraternite nacque quando papa Clemente VIII, con la bolla Quaecumque del 7 dicembre 1604, dispose che le piccole confraternite sparse per il mondo si aggregassero alle arciconfraternite romane, conferendo ai superiori generali e ai vescovi la possibilità di erezione di nuovi sodalizi. Per i carmelitani, le arciconfraternite furono quelle di Santa Maria in Traspontina, di San Martino ai Monti e di San Crisogono.
Per l’erezione di una nuova confraternita, il parroco o la comunità interessata dovevano – e devono tuttora – trasmettere al priore generale oppure al priore provinciale di competenza una supplica o un memoriale, con allegato il consenso del vescovo locale. Verificata la correttezza dei documenti e della procedura, l’Ordine provvede alla spedizione del decreto di erezione agli interessati, registrando tale atto nel registro generale.
Le confraternite possono essere istituite anche per decreto vescovile. Purtroppo, per questo tipo di confraternite, non c’è traccia in Archivio generale, in quanto la Curia diocesana non è tenuta a trasmettere documentazione alcuna alla Curia generalizia dell’Ordine.
In Italia e in Europa le confraternite patirono per le disastrose soppressioni del Settecento e dell’Ottocento. Durante il Novecento ci furono molti tentativi per cercare di dare nuova linfa alla devozione dello scapolare; sembrerebbe che finalmente, con la riscoperta del ruolo del laicato seguita al Concilio Vaticano II, si sia in parte recuperata la dimensione associativa dei secoli passati.
È possibile avere un’idea del numero di confraternite?
Nell’Archivio generale, o nella Sezione Confraternite o nel Commune Ordinis, mi è stato possibile reperire informazioni su oltre 5.500 confraternite. I documenti più antichi riguardano prevalentemente l’Italia e gli altri paesi europei, ma con l’impulso missionario otto-novecentesco, la devozione allo Scapolare ha raggiunto anche i luoghi più remoti della Terra.
Durante la redazione dell’inventario quali soluzioni metodologiche e quali problematiche hai dovuto affrontare?
Nel mio lavoro ho proceduto a tappe: sono partito, infatti, dalla realizzazione di un elenco di consistenza, per rendermi conto del materiale su cui, poi, sarei andato a lavorare più nel dettaglio. Successivamente ho impostato delle tabelle con le quali ho realizzato un inventario sommario, individuando il luogo e l’anno di erezione di ciascuna confraternita. Infine sono passato alla regestazione dettagliata di ciascun documento, carta per carta, fornendo così uno strumento che permette di ricercare informazioni su date, luoghi e persone.
Per ovviare alla mancanza di documentazione per tutto il Settecento e la prima metà dell’Ottocento, ho ritenuto opportuno procedere allo spoglio dei registri dei priori generali, in cui sono sinteticamente annotate le date di erezione delle confraternite: questo mi ha permesso di ricostruire il numero, la collocazione geografica e cronologica anche di confraternite di cui non si sono conservate le singole richieste di erezione o altra documentazione specifica.
Forse l’unica difficoltà che ho dovuto affrontare è stata la non conoscenza di alcune lingue (come il francese e l’olandese), per cui mi sono dovuto avvalere del supporto di amici e colleghi.
Puoi raccontarci qualche curiosità che hai rilevato nel corso del tuo lavoro?
Tra le prime cose che mi vengono in mente, penso ad una lettera del parroco di Upytė (frazione di Panevėžys, in Lituania), che esattamente 100 anni fa, il 3 luglio 1924, scriveva a Roma per l’erezione della confraternita: purtroppo non si era potuto fare prima, perché sotto il dominio zarista, cessato da pochi anni, erano vietate tutte le confraternite e congregazioni ed i vescovi avevano solo la facoltà, concessa loro dalla Sede Apostolica, di ascrivere i fedeli a tutte le confraternite, senza l’onere della tenuta dei registri degli ascritti.
Penso anche agli stravolgimenti seguiti alla Seconda Guerra Mondiale che hanno portato alla migrazione forzata di interi popoli: mi riferisco a documenti scritti da parroci polacchi in territori dell’attuale Ucraina o da tedeschi nell’attuale Polonia oppure da preti dalmati che si esprimevano in italiano.
Hanno attirato la mia attenzione in special modo i documenti provenienti da territori lontanissimi: ad esempio, nel 1900 furono erette alcune confraternite in Nuova Caledonia e nel 1927 una confraternita nell’attuale Wuhan, in Cina.
Molto interessanti sono anche numerosi assensi firmati da vescovi poi divenuti beati o santi, come il cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano, o Albino Luciani, vescovo di Vittorio Veneto, poi patriarca di Venezia ed infine papa col nome di Giovanni Paolo I.
Talvolta in convento accadevano eventi divertenti ma incresciosi, che ci sono stati tramandati dai documenti conservati nel nostro archivio.
Il 16 luglio 1639 il priore generale Teodoro Straccio inviava una lettera al padre maestro Francesco Cristofori, priore di Senigallia, esortandolo a risanare una contrasto tra il sacrista del convento, suo confratello, e un gentiluomo della città.
Così scriveva il generale Straccio: “Il signor Annibale Baldassino mi scrive che, stando una sera con suo servitore e con altri cantando sotto la finestra di cotesto padre sagristano, il detto padre li gettò un gran catino d’acqua adosso e, perché il servitore si duolse, dicendo che insolenza era quella, il padre gli tirò un mezzo mattone, con pericolo d’ucciderlo s’il coglieva nella testa. È stato supposto al detto signor Annibale ch’il padre sagristano fece quell’insolenza per comandamento della Paternità Vostra, ma però esso no’l crede. Comonque sia, ella faccia ch’il suddetto padre sagristano dia sodisfattione al detto signore, che così conviene, altrimente il levarò da cotesto convento, né permetta la Paternità Vostra che i suoi religiosi compiano simili insolenze.” [AGOC, II C.O. 1(24), fasc. 8, p. 93]
Non sappiamo come si sia risolta la questione, ma una cosa è certa: per meritarsi la secchiata d’acqua e il mezzo mattone, alla combricola dei cantori doveva proprio mancare l’orecchio musicale!
Disegno di Emanuele Boaga, tratto da: Storielle stracciate, aneddoti curiosi sui religiosi del Seicento dalle lettere di Teodoro Straccio, priore generale dei carmelitani, raccolti e illustrati a cura di JSEB, Roma 1980.
In occasione dell’evento nazionale Archivissima 2024 – Il Festival e la Notte degli Archivi, quest’anno dedicato al tema #Passioni, venerdì 7 giugno 2024 presso il Centro Internazionale Sant’Alberto (Roma), si è svolta la tavola rotonda intitolata: «Aut pati aut mori». La simbologia del cuore nell’iconografia femminile carmelitana.
Mario Alfarano, archivista e bibliotecario generale, ha dialogato con lo storico dell’arte Ruggiero Doronzo e il teologo Charlo Camilleri, sviscerando i significati spirituali e culturali dell’immagine del cuore nella vita e nell’immaginario di alcune mistiche carmelitane dell’età moderna, da santa Teresa d’Avila a santa Maddalena de’ Pazzi, fino alla venerabile pugliese Rosa Maria Serio.
Ci fa piacere condividere con voi alcuni scatti della serata.
Assegno di ricerca intitolato alla memoria di p. Emanuele Boaga 2024
Ricordiamo che la scadenza per la presentazione delle candidature al Bando di ricerca indetto dall’Archivio Generale dei carmelitani (2024, VIII edizione) è fissata improrogabilmente per il giorno 31 luglio 2024. Il plico contenente la domanda di partecipazione e il progetto può essere recapitato tramite posta raccomandata o pec oppure consegnato a mano presso l’Archivio.
Giornate di valorizzazione del Patrimonio culturale ecclesiastico 2024
Nelle giornate dell’11-19 maggio 2024 in tutta Italia si svolgeranno numerose iniziative volte a valorizzare il patrimonio artistico e culturale degli istituti ecclesiastici. Per l’occasione anche l’Archivio e la Biblioteca generali dell’Ordine carmelitano organizzeranno visite guidate per mostrare il materiale documentario e librario ivi conservato. In particolare saranno esposti al pubblico e presentati gli incunaboli facenti parte del fondo antico della Biblioteca.
Nel fondo antico della Biblioteca Generale Carmelitana è conservato un prezioso incunabolo stampato a Venezia il 14 luglio del 1499, contenente la Parthenice secunda o Chatarinaria del noto carmelitano Giovanni Battista Spagnoli, detto il Mantovano (1447-1516), che fu priore generale dell’Ordine dal 1513 al 1516. Il volumetto, di sole 44 carte e di piccole dimensioni, dopo la lettera dedicatoria in apertura, mostra una pagina incipitaria stampata in caratteri romani, con uno spazio bianco, accompagnato da una letterina “di guida” per il miniatore, che in un secondo momento – come accadeva per i coevi libri manoscritti – aggiungeva a mano l’iniziale di testo.
La presenza di numerose annotazioni marginali e interlineari, aggiunte da un possessore cinquecentesco, testimonia l’ampio utilizzo che di questo incunabolo si fece, per finalità di studio e di lettura, in tempi assai vicini alla stampa.
Interessante notare, infine, il rivestimento che caratterizza la legatura, su supporto bianco cartonato ove si legge un testo, in lingua tedesca, stampato in caratteri gotici su due colonne di scrittura.
La musica carmelitana in Polonia e Italia tra XVII e XVIII secolo
Il dottor Marek Bebak è uno storico della musica proveniente dalla Polonia e insegna all’Università Jagellonica di Cracovia. Nell’autunno del 2023 si è aggiudicato il settimo assegno di ricerca dell’Archivio generale dei carmelitani, intitolato alla memoria di p. Emanuele Boaga, e ha avviato un progetto di Musicologia, dal titolo Mapping the Carmelites Musical Culture in Europe in the Seventeenth- and Eighteenth-Century. Preliminary research on the basis of the collection of the General Archive of the Carmelite Order in Roma.
In passato Marek si è già occupato di questa tematica, indagando le fonti archivistiche e bibliografiche carmelitane polacche e realizzando diverse pubblicazioni sul tema. Ora la sua attenzione si è spostata sull’Italia.
In occasione del suo soggiorno a Roma, gli abbiamo rivolto alcune domande:
Puoi descriverci brevemente in cosa consiste il tuo lavoro di ricerca?
Come musicologo, cerco di conoscere l’antica cultura musicale dei carmelitani, soprattutto riguardo ai secoli XVII e XVIII, quando l’Ordine era al suo apice. Facendo riferimento a diverse fonti storiche, cioè manoscritti e stampe musicali, trattati teorici, libri antichi e documentazione d’archivio (cronache, carteggi, resoconti, protocolli), cerco di rispondere alle seguenti domande:
quale tipo di musica è stato ascoltato nelle chiese e monasteri carmelitani? In quali situazioni è stato utilizzato? Chi lo ha eseguito e chi lo ha finanziato? Quali strumenti erano disponibili nelle chiese carmelitane?
Cerco anche di analizzare le opere musicali stesse e di valutare le capacità compositive dei carmelitani nel contesto in cui le hanno create. Preparo inoltre edizioni critiche di opere musicali, per consentire ai musicisti di includere queste composizioni nel loro repertorio concertistico e di registrarle su CD. Esaminare la documentazione di molti conventi e province mi dà una prospettiva più ampia: l’opportunità di confrontare e valutare il livello della cultura musicale in diversi luoghi d’Europa.
Quali istituzioni culturali hai visitato per portare avanti le tue ricerche in Polonia e quali stai consultando e consulterai qui in Italia?
Sia in Polonia che in Italia la situazione delle fonti è complicata e richiede ricerche presso varie istituzioni. Ciò è dovuto principalmente alla difficile storia dell’Europa. Molti materiali archivistici e bibliotecari sono stati distrutti o dispersi a seguito di incendi, inondazioni, guerre, spartizioni e dissoluzione dei beni ecclesiastici nel corso dei secoli XVIII e XIX.
Il punto di partenza del mio lavoro sono i materiali raccolti negli archivi carmelitani, ma molte fonti sono attualmente conservate anche presso archivi e biblioteche statali e diocesane. Le mie ricerche sulla cultura musicale dei carmelitani nella Confederazione polacco-lituana si basano su materiali che attualmente si trovano disseminati tra Polonia, Lituania, Bielorussia, Ucraina e in parte anche in Germania, Slovacchia e Repubblica Ceca. Ad esempio, nell’Archivio di Stato di Modra (vicino Bratislava), in Slovacchia, ho trovato un manoscritto contenente una composizione del carmelitano di Cracovia Telesfor Wikliński. Questa composizione è stata inclusa nel repertorio della cappella musicale di Piaristi a Podolinec. Abbiamo immortalato questa e altre composizioni del repertorio dei carmelitani polacchi nell’album “Flos Carmeli” del 2023 (disponibile sui servizi streaming, compreso Spotify).
La mia ricerca sulla cultura musicale dei carmelitani in Italia presenta le medesime problematiche: ho iniziato con l’Archivio generale di Roma e nelle fasi successive raggiungerò materiali storici conservati in biblioteche e archivi statali ed ecclesiastici.
Puoi raccontarci qualche curiosità che ti ha particolarmente colpito sui compositori e musicisti carmelitani oggetto del tuo studio?
Diversamente da altre realtà religiose, come quella dei gesuiti, l’Ordine carmelitano non era famoso per la sua cultura musicale: quindi ogni informazione pertinente a questo argomento è per me interessante.
Sono rimasto sorpreso dal fatto che in Italia il numero delle cappelle musicali (vocali-strumentali) fosse inferiore a quello della Polonia: infatti, mi aspettavo che l’organizzazione delle cappelle polacche fosse modellata su quella italiana. Ad esempio: a metà del XVII secolo a Cracovia, nella chiesa carmelitana, esisteva una grande cappella vocale-strumentale, che sapeva eseguire con successo sia composizioni a 1-4, che grandi brani policorali (per 2 o 3 cori); questa cappella comprendeva molti musicisti, sia carmelitani che laici. Purtroppo di essa non è sopravvissuto materiale musicale, ma disponiamo di cataloghi di biblioteca che elencano tutte le opere che i musicisti avevano a disposizione. Per fare un confronto, a Roma, nell’importante chiesa carmelitana di S. Maria in Traspontina, all’epoca erano impiegati solo tre cantori e un organista: è possibile che l’ambiente musicale della liturgia quotidiana fosse più modesto che a Cracovia. Invece, per le feste più grandi (ad esempio la Madonna del Carmine o Sant’Alberto), sempre a S. Maria in Traspontina venivano invitati i musicisti più illustri delle cappelle pontificie della Basilica di S. Pietro o della Basilica Lateranense. Invitare cappelle provenienti da altre chiese era tipico di questo periodo, ma durante la mia ricerca vorrei verificare se i carmelitani avessero proprie cappelle musicali in altre città d’Italia.
Da fonti raccolte presso l’Archivio generale dei carmelitani sappiamo che c’erano molti musicisti in altri centri, ma finora non sono riuscito a riconoscere la loro organizzazione. Ciò non significa, però, che in generale la cultura musicale dei carmelitani in Italia fosse modesta. Abbiamo molte descrizioni di eventi durante i quali furono eseguite meravigliose musiche, composte dagli stessi carmelitani, come ad esempio: Filippo Cristianelli, Giovanni Battista Tonnolini, Giuseppe Scarani, Girolamo Casati, Pietro Colombina, Lorenzo Penna, Elia Vannini. In ogni provincia d’Italia c’era almeno un compositore di cui si sono conservate interessanti opere musicali. Mi auguro che in futuro ne sapremo di più.
L’Archivio Generale ha partecipato con un panel alla VII edizione dei “Cantieri dell’agiografia”, promossa dall’Associazione italiana per lo studio della santità, dei culti e dell’agiografia (AISSCA). Il convegno si è svolto a Roma dal 24 al 26 gennaio 2024.
Il tema del panel era: “Parole e immagini. La vita delle mistiche carmelitane del Sei-Settecento”. Sono state presentate tre relazioni: “Le terziarie carmelitane attraverso le incisioni del XVII e XVIII secolo” di Ruggiero Doronzo (Università di Bari), “La figura della terziaria Anna Geltrude Picca da Velletri attraverso le parole del carmelitano Giuseppe Bartoli” di Anna Abdelhamid Serra (Institutum Carmelitanum) e “I racconti agiografici su Rosa Maria Serio nelle prime testimonianze delle consorelle” di Mario Alfarano, ocarm. (direttore dell’Archivio e della Biblioteca Generali).
I relatori hanno presentato le ricerche che hanno svolto o che stanno ancora conducendo presso il nostro Archivio.
Nei depositi della Biblioteca generale carmelitana si conserva attualmente una trentina di manoscritti liturgici, costituita da antifonari, corali, graduali e messali, finalizzati alla celebrazione eucaristica. Questi giganteschi volumi provengono dagli antichi fondi librari della collezione di Santa Maria in Traspontina e risalgono ai secoli XVII-XIX.
Quello che vi mostriamo oggi è un graduale carmelitano del 1708, redatto su pergamena, che presenta in apertura una elegante antiporta, decorata con elementi floreali policromi, e una pagina incipitaria caratterizzata da notazione musicale e un tetragramma in inchiostro rosso, accompagnati da sintetiche rubriche in una manierata e solenne scrittura gotica [foto 1].
Le dimensioni “atlantiche” di questi volumi e l’ampio utilizzo che di essi si faceva hanno reso necessarie una maggiore robustezza e solidità della compagine strutturale, mediante l’aggiunta di elementi metallici, quali borchie chiodate e cantonali, sui piatti della legatura, che rendono anche più agevole il loro posizionamento in orizzontale sugli scaffali. Tuttavia, come per la maggior parte di essi, anche per questo prezioso graduale l’usura del tempo è particolarmente evidente sul dorso, oggi privo di copertura e con cucitura a vista [foto 2].
Proprio in virtù di una loro migliore conservazione, nei prossimi mesi alcuni di questi libri liturgici saranno oggetto di specifici interventi di restauro, finalizzati anche a una più ampia e incisiva valorizzazione, in vista di studi e ricerche future da parte di un’utenza specialistica.
La nuova Sala del Patrimonio Carmelitano a Middletown
La Provincia carmelitana americana di Sant’Elia (New York) ha allestito la nuova Sala del Patrimonio Carmelitano presso il santuario nazionale di Nostra Signora del Monte Carmelo, a Middletown, nello stato di New York.
Si tratta di un piccolo museo, in cui i visitatori potranno leggere documenti storici provenienti dall’Archivio provinciale e libri antichi, nonché ammirare opere d’arte e oggetti religiosi, ripercorrendo la storia della Provincia SEL, incominciata nel lontano 1889 a Manhattan.
Attualmente una delle vetrine ospita una mostra su san Tito Brandsma, martire dei campi di concentramento nazisti, canonizzato nel 2022, ma le esposizioni a tema di alcune vetrine cambieranno ogni due mesi, in modo da mostrare aspetti diversi della storia del Carmelo e della sua comunità negli Stati Uniti d’America.
La prima edizione dell’Assegno di ricerca indetto dalla Biblioteca Generale Carmelitana è stata vinta dalla dottoressa Rosa Parlavecchia, la quale svolgerà uno studio intitolato Ricostruzione della Biblioteca della Traspontina a partire dalle note di possesso presenti sui manoscritti e libri antichi della Biblioteca Generale Carmelitana.
Ci auguriamo che questo lavoro possa essere un’occasione per riportare alla luce la ricchezza del patrimonio librario del convento di Traspontina, che in antico era sede di uno dei più importanti luoghi di studio e formazione carmelitana.
Tra i tesori del nostro archivio abbiamo ritrovato l’antica ricetta dello spiritum carmeliticum, così come ideata da un certo padre Bernardo, presumibilmente sul finire del secolo XVIII. Di padre Bernardo non conosciamo né il cognome né il convento di appartenenza, ma sicuramente il suo amaro dovette essere molto apprezzato se la sua ricetta arrivò fino alla Curia generalizia dei carmelitani.
Per poterla riprodurre, procuratevi alcol purissimo di vino, erbe di melissa, salvia e timo – con la raccomandazione che non siano essiccate, ma freschissime, colte durante la stagione della loro fioritura -, buccia di arancio, fiori di rosmarino, aromi di carciofo, cannella, noce moscata, inoltre semi di coriandolo, di anice e di ortica. Fate macerare il tutto per almeno due giorni, rimescolando di tanto in tanto, poi distillate e bevete… ma con moderazione!
Giovedì 18 gennaio 2024, presso il Centro Internazionale Sant’Alberto (Roma), è stato presentato il volume L’attività di padre Serafino Maria Potenza (1697-1763) attraverso i documenti d’Archivio, di Simona Durante, pubblicato da Edizioni Carmelitane (vedi ABiGOC20/2023).
Alla presentazione sono intervenuti padre Vincenzo Criscuolo, ofmcap, già relatore generale del Dicastero delle Cause dei Santi, il professor Luca Carboni, dell’Archivio Apostolico Vaticano, e l’autrice. Tra i numerosi partecipanti erano presenti il segretario monsignor Fabio Fabene, il sottosegretario Bogusław Stanisław Turek e altri membri del Dicastero.
Ci fa piacere condividere con voi alcuni scatti della serata.
Il Bando intitolato alla memoria di p. Emanuele Boaga, giunto alla settima edizione, è stato ideato nel 2017 per promuovere studi sul materiale dell’Archivio generale dell’Ordine carmelitano. Ogni anno i progetti presentati vengono esaminati da una commissione internazionale, formata principalmente da studiosi carmelitani.
Quest’anno l’assegno è stato vinto dal dottor Marek Bebak, con un progetto di Musicologia, intitolato Mapping the Carmelites Musical Culture in Europe in the Seventeenth- and Eighteenth-Century. Preliminary research on the basis of the collection of the General Archive of the Carmelite Order in Roma.
Speriamo che questo lavoro possa mettere in luce un aspetto ancora così poco conosciuto della storia dell’Ordine.
In occasione della stampa del volume Santa Maria in Traspontina. La vita di una comunità carmelitana attraverso le carte d’archivio. Inventario del fondo, pubblicato da Edizioni Carmelitane (2023), abbiamo intervistato l’autore.
Jacopo De Santis è dottore di ricerca in Storia e scienze filosofico-sociali, con specializzazione in Storia religiosa; è inoltre diplomato archivista.
Jacopo, la tua pubblicazione è frutto del progetto di ricerca vincitore del terzo bando promosso dall’Archivio: come nasce l’idea?
«Durante il dottorato di ricerca ebbi modo di frequentare l’Archivio generale dell’Ordine per svolgere le mie ricerche sulla vita religiosa a Roma durante la Repubblica romana del 1849 e venni a conoscenza del fondo della chiesa e del convento di Santa Maria in Traspontina. Già consultando solo alcuni fascicoli, mi accorsi subito che si trattava di uno straordinario patrimonio documentario, estremamente prezioso non solo per lo studio della storia dell’Ordine ma anche per svolgere ricerche sulla storia religiosa di Roma. Tuttavia le carte, pur essendo ordinate, non erano corredate da uno strumento in grado di descrivere la documentazione e, quindi, di orientare gli studiosi nei nove metri lineari e nelle 182 unità archivistiche dalle quali è composto il complesso documentario.
Quando nel 2019 ho deciso di partecipare alla terza edizione dell’assegno di ricerca promosso dall’Archivio ed intitolato alla memoria di p. Emanuele Boaga, mi ero da poco diplomato in archivistica e nutrivo il desiderio di confrontarmi con un lavoro di inventariazione di un fondo che mi avrebbe permesso di mettere in pratica le nozioni teoriche della disciplina archivistica che avevo studiato, prima all’università e poi alla scuola di archivistica dell’Archivio di Stato di Roma. Prima di presentare il progetto di ricerca richiesto dal bando, mi recai quindi all’Archivio generale per svolgere un sopralluogo finalizzato a scoprire quanto un progetto di inventariazione fosse effettivamente realizzabile e quali fondi custoditi nell’Archivio dell’Ordine avessero più bisogno di essere descritti per rendere più agevole la loro consultazione da parte degli studiosi. In questa occasione, grazie soprattutto al confronto con l’accogliente personale dell’Archivio, ho riscoperto le carte della chiesa e del convento di Santa Maria in Traspontina e ho così deciso di dedicare a queste ultime il mio progetto di ricerca, nonché anche la mia prima esperienza di descrizione di un fondo archivistico.»
Com’è strutturato il volume?
«Il volume presenta la struttura tipica di un inventario archivistico, così come prescritto dalle regole enunciate dalla disciplina, ed è diviso in due parti: una storica e di carattere discorsivo e l’altra più tecnica e finalizzata a descrivere il fondo.
La prima parte dell’inventario si compone di due introduzioni: una storica sul soggetto produttore dell’archivio, in questo caso la chiesa e il convento di Santa Maria in Traspontina, per un arco cronologico che va dall’insediamento dei Carmelitani nel XV secolo fino ai giorni nostri; l’altra introduzione è invece di carattere archivistico, ripercorre cioè le vicende dell’archivio e illustra i criteri che hanno guidato il lavoro di descrizione da me condotto.
La seconda parte consiste invece nella descrizione delle cinque serie e dei due fondi aggregati componenti l’archivio della Traspontina, corredata da brevi cappelli introduttivi per ogni serie, e presenta tutti quegli elementi indispensabili a rendere più agevole e fruttuosa la ricerca all’interno del complesso documentario. Completano poi il volume alcuni apparati: la tabella di raffronto delle vecchie e delle nuove segnature, gli elenchi dei priori, dei parroci e dei cardinali titolari di Santa Maria in Traspontina, la bibliografia e le fonti archivistiche consultate e, infine, l’indice dei nomi e dei luoghi.»
Durante la redazione dell’inventario quali problematiche hai dovuto affrontare? Hai qualche curiosità da raccontarci?
«Le maggiori problematiche riscontrate durante la redazione dell’inventario sono attribuibili al tentativo di ricostruire virtualmente le serie del fondo, facendo ricorso agli spezzoni dello stesso archivio custoditi in altri istituti di concentrazione, come l’Archivio di Stato di Roma e l’Archivio storico del Vicariato. Inoltre l’assetto assegnato al fondo da precedenti interventi di riordinamento (nonché la presenza di due fondi aggregati) non sempre mi permettevano di riconoscere immediatamente la consistenza e la natura delle serie, peculiarità che hanno richiesto al mio lavoro uno sforzo in più, finalizzato a ricostruire i legami logici che accomunano la documentazione senza scompaginare l’ordine attribuito all’archivio da precedenti riordinamenti. Per di più, man mano che studiavo le carte, mi appariva sempre più evidente che sotto il titolo di “Santa Maria in Traspontina” si sommavano (e a volte sovrapponevano) istituzioni diverse (la comunità religiosa e il convento, la parrocchia, la sede del Priore generale e della Provincia romana), quasi a prospettare la sussistenza in questo archivio di quel particolare fenomeno che la teoria archivistica italiana ha definito come “vischiosità archivistica”. Tuttavia, a parte le difficoltà tecniche e concettuali riscontrare nel corso della redazione dell’inventario, la problematica più grande è stata forse la pandemia da Covid che, nel bel mezzo del lavoro, ci ha confinati tutti a casa e ha interrotto per diverso tempo lo svolgimento del progetto.»
Per approfondimenti e acquisto della pubblicazione, si rimanda al sito di Edizioni Carmelitane:www.edizionicarmelitane.org
Tra le carte di Santa Maria in Traspontina, recentemente inventariate da Jacopo De Santis, diversi documenti attestano che nel corso del XVIII secolo presso il medesimo convento romano, all’epoca sede della curia generalizia dei carmelitani, si producevano tavolette di cioccolata: lo testimonia la corrispondenza conservata nel nostro archivio, con la quale i frati di altri conventi e varie personalità del tempo chiedevano che s’inviasse loro questa prelibatezza.
In particolare, in un carteggio di diciassette lettere datate all’anno 1758, l’ex priore generale dei carmelitani Luigi Laghi, della Provincia Romagnola, richiedeva che gli fosse recapitato nel convento di Forlì un ordine di cioccolata, di cui doveva essere piuttosto goloso, riferendo – in maniera buffa – di farne un uso abituale, perché, a suo dire, lo aiutava a contrastare il respiro corto… e altri malanni: «Io continuo a soffrire ogni mattina la solita strettezza di petto e difficoltà di respiro, ma presa la cioccolata, che mi causa alcuni flati, resto libero» (13 aprile 1758).
Padre Laghi aveva una gran provvista di questo portentoso rimedio, come si legge in un’altra sua lettera: «Per la cioccolata ci è tempo sin che farete la nostra, perché ne tengo ancora per sei e più mesi» (7 settembre 1758).
Che scriverebbe oggi Luigi Laghi? Peccato che non si produca più la cioccolata carmelitana!
In vista della presentazione, abbiamo intervistato l’Autrice: Sappiamo che ti occupi di archeologia cristiana e con questo volume hai voluto ricostruire la storia della chiesa e del convento di San Nicola dei Cesarini di Roma, attraverso la stratificazione archeologica dell’area. Quali sono stati, se ci sono stati, i problemi che hai incontrato durante lo studio di questo tema?Ti chiederemmo di raccontare soprattutto come hai ricostruito il patrimonio disperso del San Nicola.
«Posso dire che l’archeologia cristiana si è configurata certamente come una base importante da cui partire, ma non è stata l’unica in questa ricerca, in quanto la chiesa moderna di San Nicola dei Cesarini si va ad impostare sulla fase medievale e su quella ancora precedente, romana, dei templi veri e propri. A volte, però, capita che i tempi più recenti siano, paradossalmente, quelli più complessi da ricostruire. È accaduto che chiesa e convento di San Nicola, all’epoca della demolizione avvenuta tra il 1926 e il 1927, considerati in pessime condizioni di conservazione, siano stati definiti poco importanti ai fini della preservazione della loro memoria. Mentre possediamo due foto e qualche acquerello dell’esterno della chiesa, non abbiamo nulla che documenti visivamente l’interno. Le foto sono unicamente relative alla demolizione, quindi abbiamo resti di muri, del rivestimento delle pareti del convento e nulla più. Ci vengono tramandati, però, una descrizione scritta dell’aspetto della chiesa e un elenco di opere. Seppur in modo frammentario tra i vari archivi romani, sono riuscita a ricomporre il complesso puzzle della storia della chiesa e dei suoi manufatti, alcuni dei quali ancora esistenti e conservati sia a Roma che in altri luoghi d’Italia, altri invece scomparsi o trafugati. È stato difficile, per esempio, capire quale fosse la “composizione” del pavimento che doveva essere piuttosto “affollato” di tombe. Le lapidi e gli ossari, che appaiono oggi ricoperti di muffe e licheni, si trovano presso il Cimitero Verano e, grazie alla mia ricerca, sono stati finalmente individuati, ma in precedenza se ne era persa quasi totalmente la memoria. Sono stati necessari vari sopralluoghi e un’attenta consultazione dei documenti d’archivio per giungere alla loro identificazione.
Oltre alle difficoltà, ci sono state anche delle certezze, come le tele di San Nicola e del profeta Elia che furono trasportate nella chiesa della Beata Vergine del Carmelo annessa al Collegio Internazionale Sant’Alberto, dove ancora sono conservate.
È possibile definire la ricerca sulla chiesa di San Nicola dei Cesarini come una vera indagine storico-artistica, archivistica e architettonica inquadrata in un contesto del tutto archeologico. Ovviamente, all’analisi dei documenti è stato assolutamente necessario affiancare delle verifiche in situ e ciò mi ha permesso di avere una visione d’insieme. È difficile da spiegare a parole, ma nella mente di un archeologo, ricorrendo a quanto appreso dalle fonti e comparando i resti materiali, anche le strutture demolite riacquistano forma. Ormai mi basta semplicemente osservare l’Area Sacra di Largo Argentina, recentemente aperta al pubblico, e la chiesa di San Nicola dei Cesarini è ancora lì, con il suo convento dimora dei Carmelitani, i fedeli che entrano nell’edificio di culto per recitare qualche preghiera e accendere una candela.»
Pillole di codicologia: un manoscritto miniato dell’Archivio
Oggi vogliamo parlarvi del pregiato apparato ornamentale visibile in un manoscritto membranaceo conservato presso l’Archivio Generale dell’Ordine Carmelitano, con la segnatura II Pers. 27 (2). Il codice, scritto agli inizi del Quattrocento, costituisce il primo di due volumi contenenti il Dictionarium sacrum (lettere A e B nel primo tomo, lettera C nel secondo), composto dal magister e teologo carmelitano Michele Aiguani, altrimenti noto con il nome di Michele da Bologna (1320 ca.-1400). [foto 1]
La pagina d’incipit del testo mostra una preziosa iniziale figurata di colore rosa, su fondo blu filettato a biacca, con il ritratto ieratico dell’autore, in abiti carmelitani, seduto frontalmente su uno scranno. [foto 2]
Dall’iniziale si diparte un fregio miniato, caratterizzato da eleganti tralci d’acanto policromi, contornati da globetti dorati, che occupa tutti e quattro i margini della pagina. In basso, al di sotto della prima colonna di scrittura, è presente il signum dell’autore con le iniziali del nome (MB), in oro su campo blu; accanto, si intravede la sagoma di un altro stemma, in seguito trasformato nel vessillo dell’Ordine Carmelitano, ma che in origine doveva ospitare il blasone della nobile famiglia genovese dei Cattaneo, costituito da una banda diagonale rossa e due gigli in blu su campo bianco, come si osserva, infatti, nel secondo tomo del dizionario. [foto 3 e 4]
All’interno del manoscritto ogni lemma relativo alla lettera A (es. Abstondere alla carta 17r) è evidenziato da eleganti iniziali filigranate, alternativamente in inchiostro blu e rosso, e le partizioni testuali sono segnalate da sottili segni di paragrafo, che si avvicendano negli stessi colori delle iniziali. [foto 5]
A completamento dell’apparato decorativo, è visibile, a carta 241r, in corrispondenza dell’inizio della nuova voce del dizionario (lettera B), una iniziale miniata, di colore rosa, su fondo blu filettato a biacca, riempita da motivi vegetali policromi avviluppati tra loro. [foto 6]
Il codice, analogamente ad altri manoscritti che tramandano opere dell’Aiguani, fu commissionato dalla famiglia Cattaneo, legata fin dalle origini alla comunità carmelitana, per poi appartenere, già dal XVI secolo, alla biblioteca di Santa Maria in Traspontina, come si evince dalla nota di possesso presente nel margine superiore della carta incipitaria.